Il signor nessuno alla ricerca del suo nome
Lo strano paese
Quando il signor nessuno arrivò nel Labirinto era convinto di avere la soluzione a portata di piede. Un passo, poi un altro passo, e ancora un passo e sarebbe arrivato a capo di tutta quella strana vicenda. Poi si rese conto che è quello che credono un po’ tutti quando si avvicinano al Labirinto, ma la verità è che non sanno cosa li aspetta.
Ricapitolando: il signor nessuno aveva perso il suo nome. Sospettava che fosse colpa del guastatore, rivelatosi poi una guastatrice. E adesso era sulle sue tracce. Ma la ricerca era più difficile del previsto. Aveva attraversato città strane, dormito in paesi stranissimi e mangiato a pranzo e a colazione con gente ancor più strana. Poi lo avevano indirizzato lì.
Ma quel labirinto era davvero una cosa nuova e strana, ancora più strana di tutto il resto.
Al cancello d’ingresso il signor nessuno fu invitato ad affrettarsi, mentre un omone grande e grosso che indossava una divisa da domatore di leoni, con la giacca rossa, con alamari enormi con le frange dorate, bottoni argentati e per braghe un paio di pantaloni a sbuffo di colore nero pece, lo esortava a entrare. L’omone si tolse il cappello a cilindro e lo portò in avanti facendo cenno al signor nessuno di non soffermarsi più sull’uscio ma di entrare, perché stava bloccando la fila. Non era un inchino, anche se tale poteva apparire a chi era distratto, quanto piuttosto un ammonimento.
Il signor nessuno si voltò indietro per guardare e rimase stupito nel vedere quanta gente c’era in coda pronta ad entrare in quel Labirinto dove nessuno sapeva cosa fare.
Appena mise il piede all’interno però tutto sparì. Non c’era più l’omone grande e grosso con la divisa da domatore di leoni, non c’erano più persone in coda. Esisteva solo il davanti, un vialetto delimitato da muri alti, meno alti, più alti, di colori diversi, dove poter andare solo avanti. Cosa riservasse quella strada il signor nessuno non lo sapeva. Lo avrebbe scoperto giorno dopo giorno pensò più impaurito che fiducioso.
Così si incamminò, un po’ incerto a piccoli passetti, girandosi ogni tanto indietro, ma comunque costretto ad andare avanti. A spingerlo fondamentalmente non c’era nessuno, eppure avvertiva una forza che non gli dava scelta. Era costretto a camminare in avanti e quando si voltava per guardare la strada fatta, provava una tale nostalgia e un tale rimpianto che preferiva non farlo. Il signor nessuno pensava a quei passi che avrebbe potuto fare e non aveva avuto la forza o il coraggio di compiere. Guardava alle sue spalle e vedeva solo il tempo trascorso, un tempo che non sarebbe più tornato.
Eppure camminando, camminando, non si vedeva la via d’uscita. Era una strada segnata. E più camminava più ne avvertiva l’inutilità. Ogni tanto incontrava qualcuno che aveva il suo stesso sguardo perso. Un cenno del capo, un sorriso accennato -qualche volta- un’unica domanda sulle labbra: che ci facciamo qui? Risposte: nessuna.
Ma se la strada era segnata, pensò il signor nessuno, se i limiti erano quelli dei muri alti, più alti e meno alti, allora bisognava rompere i muri. Anche con le mani. E con le mani cominciò a scavare e rompere. Si fermò un attimo e cominciò a smantellare pietra dopo pietra, asse dopo asse. I pezzi di legno cadevano, erano fiammiferi ai piedi del signor nessuno che lui ammonticchiava per poter avere un appoggio e salire sempre più in alto e smantellare ancora pietre e ancora muri. Il domani si intravedeva tra quei mattoni. Ed era limpido il cielo.
Il Labirinto non era inviolabile e se la guastatrice aveva alzato muri e mattoni per tenere prigioniere le persone, non aveva pensato che ci si poteva anche rifiutare di seguire i vialetti.
Quando il signor nessuno uscì dal Labirinto, al di là dei muri c’erano tre strade. Una portava al mare, un’altra era in salita e la terza proseguiva diritta. Il signor nessuno si sedette su un sasso al bordo della strada e aspettò.
Commenti
Posta un commento