Usare le parole è un’arte. Quando un uomo e una donna si incontrano per la prima volta, per esempio, le parole sono quasi pennellate su una tela bianca. Man mano che si va avanti, che ci si spiega mentre si prende quello che l’altro dice, si cominciano a intravedere paesaggi, vallate, case, fiumi e ruscelli che scorrono. L’arte prende forma e dipinge un luogo di pace e di serenità. Sembra di sentirlo, di vederlo fino a viverlo.
Usare le parole è un’arte. Ma lo è anche per chi vuole disegnare nuvole e tempeste in quel cielo solo un attimo prima azzurro e sereno. Un attimo fatto di tante parole, fatto di sillabe una dietro l’altra che alla fine smantellano quel prato, quel fiume, quel paesaggio. E c’è tempesta. Arriva prima il vento. Le parole addirittura si sentono tra le raffiche. Poi la pioggia, quella che fa male che non disseta ma che bagna e fa prendere freddo alle ossa.
E quando queste parole sono su un foglio bianco allora diventa complicato non farsi travolgere.
Il fatto è che nessuno ci insegna che le parole fanno male. Verba volant, scripta manent. Eh no. Non è proprio così.
Quanti di voi ricordano ancora con precisione asfissiante quelle parole? Quelle ultime parole? Quelle che ci hanno lasciato per un attimo senza fiato?
“Il linguaggio degli uomini si è inaridito e non riusciamo più a sentire la forza evocatrice delle parole, di alcune parole” dice Mario Negri. Ma i significati originali non sono andati perduti se si vedono le parole come un mezzo magico per mettersi in sintonia con le forze naturali visibili e invisibili.
Il potere delle parole. Anche nel dialogo interiore “per liberarti di emozioni, abitudini e condizionamenti negativi”. E direi che è giunto il momento di cominciare a studiare le parole. Leggiamo?
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