Il signor nessuno alla ricerca del suo nome
Il pupazzo di neve
Aveva freddo, il signor nessuno, mentre camminava allontanandosi dalla casa colonica di colore azzurro. Adesso che sapeva che il suo guastatore era una guastatrice doveva rivedere la strategia. Ma non sapeva cosa fare e non aveva nessuno a cui chiederlo.
Eppure il signor nessuno doveva assolutamente trovare il suo nome perché gli avevano detto che se fosse rimasto a lungo in questo limbo della personalità rischiava di perdere anche il compleanno. Senza più identità e senza più età, pensò. Ed ebbe ancora più freddo.
Cadeva la prima neve. Il signor nessuno si strinse il bavero della giacca. Si calò il cappello fino a metà fronte, abbassò un poco la testa per evitare le sferzate di vento, e accelerò il passo.
Ma camminando, camminando, per poco non inciampò. Si fermò spaventato. Cosa c’era per strada? Abbassò gli occhi e vide un pupazzo di neve. Era minuscolo, senza cappello, con una carota piccola, piccola al posto del naso e degli spuntoncini di vetro come capelli. Al posto degli occhi aveva due bottoni grigi.
Ma cosa fai per strada? chiese il signor nessuno abbassandosi un po’ per non intimorire il pupazzo di neve.
Ho perso il mio amico e non posso nemmeno piangere perché le lacrime mi si ghiacciano subito, rispose il pupazzo di neve. Era sconsolato. Il suo dolore era gelido. E lui era solo.
Sai, cominciò a raccontare il pupazzo di neve, avevo un amico. Dividevamo tutto. Se adesso fosse qui io potrei raccontare a lui cose che invece devo tenere per me. E questo mi fa essere triste. Piango per non poter dividere più con nessuno i miei ricordi e non solo le mie parole.
Io con lui, e solo con lui, ho riso. Ho pianto. Ho guardato un film e ho letto un libro. Con lui e solo con lui. E ora senza di lui mi sembra che un pezzo di me stesso si sia staccato.
Il signor nessuno si strinse il bavero della giacca. Il freddo non gli dava tregua. La storia del pupazzo di neve e del suo amico perduto avevano fatto scendere un velo di tristezza su tutto il paesaggio. Una coltre leggera, più leggera ancora della neve, ma greve, pesante da sopportare. E foriera di angoscia.
E quasi come se sapesse già cosa il pupazzo di neve gli avrebbe chiesto, il signor nessuno si calò nuovamente il cappello a mezza fronte, si alzò e disse, senza avere altre parole da dire: ti saluto.
Ma il pupazzo di neve lo fermò. Io non posso restare qui senza un amico, disse girando un solo occhio-bottone-grigio. E vorrei chiederti di essere abbracciato perché mi sento solo, solo per davvero.
Il signor nessuno scosse la testa. Non sai quello che dici e non sai quello che mi chiedi, rispose. Se io mi avvicino a te, il calore umano ti farà sciogliere. Ma il pupazzo di neve lo guardò ancora. E in un solo bottone grigio si riversò tutto il mare del mondo, i prati e i fiori di un intero continente, la sabbia dell’africa e le vette dell’Eurasia. Si rispecchiò la vita.
Il signor nessuno si tolse il cappello e si avvicinò. Un passetto alla volta per dare il tempo al pupazzo di neve di cambiare idea, ben sapendo che non l’avrebbe cambiata. E diede il tempo a se stesso di avvicinarsi al dolore superando anche la paura. Poi aprì le braccia e strinse a sé il piccolo pupazzo di neve. E lo tenne stretto fin quando i bottoni grigi non tornarono ad essere bottoni. Li raccolse. Li mise nella sua borsa, quella dove aveva messo un po’ di cose prima di iniziare il viaggio alla ricerca della sua guastatrice e riprese a camminare. Aveva freddo il signor nessuno, aveva freddo nel cuore.
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